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Ogni ora nel mondo inizia un nuovo giorno e più di un miliardo (dati 2013) di dispositivi sono in grado di connettersi. Parlarsi non è solo una questione di lingue, ma di linguaggi. Un’impresa, per esempio, ha molti modi (oltre 50) e molti argomenti da comunicare: il luogo d’origine è il primo punto, la presenza in rete, il prodotto, il prezzo, gli eventi, le maestranze, il sito produttivo, la pubblicità e via via tutto ciò che costituisce e costruisce l’identità e la reputazione di una marca.

La grande ondata della rete iniziata poco prima del 2000 ha impiegato 10 anni a cambiare modelli di riferimento e di consumo e sopratutto a cambiare la percezione della realtà e i paradigmi di verità che erano punti fermi (ve lo ricordate è vero, l’ha detto la televisione?)…

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Nella ritualità dei linguaggi della pubblicità e quelli, più arcaici ancora, di molti addetti stampa, abbiamo affrontato la più grande era del cambiamento della storia dell’umanità non dipendente da guerre. Anche se a ben guardare, di guerra economica si tratta: per la conquista di posizioni, cambiamento di confini e generazione di opportunità colossali.

Abbiamo affrontato un cambiamento epocale con modalità di comunicazione distoniche, inadeguate e incapaci di diventare generatrici di bisogni, o meglio, rivelatrici di bisogni.

Abbiamo anche continuato a immaginare di poter far ripartire il treno con gli stessi motori di prima.

Un’evidenza specchio che riguarda il prodotto politica: il 50% dei consumatori potenziali non trova un prodotto da acquistare e quindi non va a votare; di quelli che decidono di comprare, due terzi acquista prodotti classici, ma un terzo ha acquistato da chi ha rotto tutti gli schemi precedenti.

Che fare allora?

Convincersi che ci sono milioni di persone che aspettano di veder soddisfatti bisogni forti e che non conoscono: ciò sarà reso possibile da idee nuove, da nuove tecnologie e da usi diversi delle tecnologie esistenti.

Riaccendere il desiderio, senza il quale esisteranno solo i consumi primari. E per farlo dobbiamo rivolgere il radar verso di noi, capendo ciò che vorremmo nella nostra intima voglia per stare meglio.

Ascoltare, Ascoltare, Ascoltare. Imporsi un metodo per accogliere le idee, prestando attenzione che anche molti modelli di previsione sono rimasti all’età della pietra (ossia prima della rete).

Guardare all’essenza dei nostri prodotti per comunicarne il cuore. Per esempio, il prosecco è un po’ il Twitter della socializzazione: leggero, fresco, immediato.

Chi si occupa di marketing ha sempre saputo che l’uomo ha bisogno si socialità per appartenere a una o più tribù, confortato anche dalle ricerche e dalla storia di radio e televisione (che non a caso si chiamano anch’esse “reti”).

È la tecnologia che ha reso possibile creare tribù decontestualizzate dalla geografia.

Il linguaggio è globale e si muove come un grande fiume nel quale tutto sembra possibile. Anche andare controcorrente per poco tempo e dove il contesto di riferimento cambia di continuo, noi contaminiamo la cultura a valle e siamo contaminati da quella a monte, ma dentro a quell’acqua siamo e in quella direzione andiamo, ciò che dobbiamo possedere sono le competenze per essere attrattivi in quel luogo e in quel momento, costruendo contenuti efficaci ed essendo abili nell’usare gli strumenti e i canali disponibili.

È l’insieme delle nostre rappresentazioni che costituisce la percezione del nostro valore e che muove gli altri nella nostra direzione. Prendiamo a esempio Papa Francesco: nel primo anno di pontificato, il suo “linguaggio” ha aumentato la presenza nelle chiese dal 10 al 30% a seconda dei Paesi, persino in Inghilterra.

Ecco allora: guardiamo al marketing del futuro partendo da noi stessi e dalle nostre voglie, soprattutto quelle più intime, se avremo coraggio è li dove troveremo nascosti tanti prodotti e servizi che verranno.

Nate Silver scrive: “L’essere umano non ha molte difese naturali: non siamo molto veloci, né particolarmente forti, non abbiamo artigli, zanne o armature naturali, non possiamo sputare veleno, né mimetizzarci. E non possiamo volare. Eppure voliamo. Sopravviviamo grazie al nostro acume. Le nostre menti sono veloci. Siamo programmati per rilevare gli schemi e siamo programmati per rilevare le opportunità e le minacce senza troppe esitazioni”.

È questo che sappiamo fare soprattutto noi Italiani e Veneti. Roma ha costruito un impero cambiando la qualità della vita dei propri abitanti e Venezia ha mantenuto una repubblica per oltre 1000 anni.

Abbiamo un DNA culturale di formidabile diversità. Mettiamolo a frutto, per Dio!


Economia
Author: Balliana

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